La passione nello sport – un bene o un male?
La passione per lo sport anima tutte le atlete e tutti gli atleti. È lo sprone grazie alla quale riescono ad affrontare anni di duro allenamento ed è una delle chiavi che portano al successo. A seconda delle sue caratteristiche, tuttavia, questa passione cela anche dei pericoli, ad esempio a livello di identità e autostima. Il presente articolo offre a allenatrici e allenatori raccomandazioni d’azione per aiutare le atlete e gli atleti a sviluppare una passione armoniosa e a rafforzare la propria identità e autostima al di là dello sport.
Blog della Formazione degli allenatori Svizzera
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Autrici: Manuela Müller, (responsabile settore specializzato psicologia dello sport e sviluppo degli esami), Ayla Huser (responsabile offerte d’insegnamento e didattiche digitali), Formazione degli allenatori Svizzera
Strutture chiuse, competizioni annullate: si resta a casa. La pandemia ha stravolto la realtà quotidiana delle atlete e degli atleti di punta che improvvisamente si sono ritrovati ad avere molto tempo per riflettere sul senso della propria vita e sulla loro relazione con lo sport.
- «Cosa faccio se non posso dedicarmi alla cosa che mi appassiona di più?»
- «Come trascorro le mie giornate? Con cosa sostituisco il mio amato sport?»
- «Ma chi sono io? Cosa mi definisce?»
Queste domande si sono trasformate in una vera e propria sfida e hanno offerto terreno fertile a crisi psicologiche anche (e forse soprattutto) per le atlete e gli atleti che praticano uno sport ad alto livello.
Nello sport, queste situazioni eccezionali (come del resto un infortunio, una malattia, il ritiro o l’assenza di progressi) possono mettere in discussione l’identità e l’autostima dell’atleta, oltre che la sua passione.
Trovare l’equilibrio
«Adoro catapultarmi in aria con gli sci. Girare sul mio asse, fare salti e figure acrobatiche. Roteare in aria, volare, l’adrenalina che invade tutto il mio corpo… è semplicemente indescrivibile».. Così Pirmin Werner spiega la sua passione per gli aerials.
A parte l’enorme investimento di tempo per periodi prolungati, secondo il professore di psicologia Robert Vallerand (2015), chi ha una passione ama quello che fa, lo considera estremamente interessante e vi dedica gran parte del suo tempo per periodi prolungati. La passione per le cose o le situazioni come quella che un atleta prova per il suo sport è un’attrazione che perdura nel tempo e può plasmare la vita di una persona. È un desiderio forte che induce a compiere grandi sforzi, a svolgere compiti difficili. La passione, quindi, è un’emozione, un sentimento che spinge ad agire e che infonde grande vitalità a chi la prova.
Lo si percepisce bene dalle parole di Pirmin, un atleta che però cerca sfide impegnative di ogni tipo anche in altri ambiti della vita: nel contesto professionale, in altri sport e a livello umano.
Questa esigenza, che Vallerand definisce una passione armoniosa, permette a Pirmin di concentrarsi completamente su un compito (ad es. l’allenamento) e di sperimentare un senso di soddisfazione e sensazioni per lo più positive. La passione che mette nello sport non gli impedisce di dedicarsi ad altre attività, anzi permette di far coesistere armoniosamente tutti i suoi interessi.
Quando dalla paura nasce l’ossessione
E se invece lo sport tanto amato richiede sempre più tempo e prevale su tutto il resto? Se le atlete e gli atleti non possono fare niente altro che dedicarsi all’attività che ritengono importante e piacevole? Se la loro passione suscita una sofferenza eccessiva e ostacola la partecipazione alla vita oltre lo sport?
«No, domani non posso andare in passeggiata. Devo allenarmi ancora e esercitare di più i salti. Non posso fare altrimenti. L’allenamento mi dà una specie di sicurezza. Devo dare tutto. Una medaglia olimpica confermerebbe che sono sufficientemente brava», scrissi un gionro nel mio diario.
A differenza di Pirmin, quando praticavo il freestyle (aerials) ad alti livelli, sentivo un impulso incontrollato ad allenarmi sempre di più. Lo sport era il mio tutto, l’unica cosa che contava davvero nella mia vita. Mi sembrava importante e opportuno massimizzare la possibilità di vincere con allenamenti infiniti.
Vallerand definisce questo comportamento una passione ossessiva che si manifesta attraverso la mancanza di controllo sull’attività amata. L’ostinazione e la caparbietà creano conflitti con le altre attività della vita, conflitti che generano sentimenti, pensieri e comportamenti negativi. Una passione ossessiva può compromettere prestazioni, amicizie e anche la salute mentale.
Katharina Albertin, psicologa dello sport e presidente della Swiss Association of Sport Psychology, spiega quali sono i meccanismi alla base di una passione ossessiva: «Questa forma ossessiva di passione nasce di solito da un forte bisogno di controllo e sicurezza. Le atlete e gli atleti definiscono sé stessi solo attraverso lo sport che, a sua volta, dipende dal successo. La paura dell’insuccesso giustifica una passione ossessiva, supportata da motivazioni estrinseche, che però di fatto non è più una passione ma si trasforma nel superamento della paura di non avere successo se non ci si allena al massimo. A questa forma eccessiva di autocontrollo l’atleta aggancia spesso la propria autostima».
Lo sport, l’unica identità
Mi identificavo solo attraverso lo sport. All’epoca nel mio diario scrissi: «Semplicemente non sono abbastanza brava. Questo salto proprio non mi riesce. Lo vedono anche le mie compagne di squadra e mi considerano un’incapace. Non mi vogliono. Sto antipatica. Lo capisco… con tutte le storie che ho fatto per questo salto… Ma che persona sono? Non so fare niente e non valgo niente.»
Progressivamente mi percepivo solo come «l’atleta Manuela» e mi identificavo soprattutto con queste caratteristiche e competenze. Il riconoscimento attraverso il successo era diventato fondamentale per sentirmi apprezzata come persona.
Nello sport di punta le atlete e gli atleti lavorano con grande disciplina, perseveranza e passione (v. sopra) verso i loro obiettivi. Lo sport e l’allenamento quotidiano diventano una parte importante della vita. Maggiore è l’impegno nell’allenamento e la valenza sociale di uno sport, maggiore è anche l’identificazione dell’atleta (Schmid & Seiler, 2003).
La figura dell’atleta occupa uno spazio crescente nell’identità e nel modo in cui lo sportivo si percepisce e si capisce. Se poi il contesto sociale coincide ampiamente con quello sportivo e anche nella vita privata si discute in prevalenza di sport, il rischio di un’identificazione unilaterale aumenta.
Di per sé non è un problema, ma se lo sport viene a mancare (a causa di una pandemia, un infortunio o del ritiro), l’atleta non sa più chi è e perde l’orientamento. L’autostima potrebbe vacillare. Del resto, anche le sconfitte e l’assenza di progressi in allenamento possono indurre l’atleta a dubitare fortemente di sé stesso.
«Il tennis è quello che fa, non quello che è».
Benc Crowe, mental coach
Riferendosi alla tennista australiana Ashley Barty, che recentemente ha annunciato il suo ritiro, il mental coach Ben Crowe ha affermato: «Il tennis è quello che fa, non quello che è». Una dichiarazione che centra perfettamente la problematica: le atlete e gli atleti, ma anche le allenatrici e gli allenatori, devono cercare di non costruire tutta la loro identità su uno sport praticato a livello agonistico.
Tenere conto delle necessità vitali
Una delle sfide che le sportive e gli sportivi di punta devono affrontare è capire chi sono e essere consapevoli dell’origine della loro passione. Da un lato, devono sacrificare molto allo sport per avere una possibilità di successo. Dall’altro, nell’interesse di una passione armoniosa, non devono perdere di vista gli altri ambiti della vita.
Katharina Albertin: «La passione armoniosa è legata a doppio filo alla motivazione intrinseca che si alimenta con la gioia e l’entusiasmo che si percepiscono facendo sport. Questa forma di motivazione e di stimolo si esaurisce in modo sano e lascia crescere nella persona altri bisogni come la fame, i contatti sociali o gli interessi al di fuori dello sport. Una passione armoniosa e la capacità di relativizzare il bisogno di controllo sono fondamentali per la salute mentale e per il rendimento di qualsiasi atleta».
La passione armoniosa non è solo un indizio della motivazione intrinseca ma favorisce anche lo svolgimento di altre attività vitali. Permette di soddisfare altre necessità e infonde sensazioni di piacere, oltre a sostenere la formazione dell’identità al di là dello sport; soprattutto, però, favorisce il benessere mentale. La passione armoniosa è quindi un buon presupposto per una carriera sportiva nel segno della salute e della passione.
Raccomandazioni d’azione
Le raccomandazioni seguenti mirano a incoraggiare le allenatrici e gli allenatori a mettere in pratica le loro conoscenze sulle caratteristiche della passione (armoniosa vs ossessiva) e l’identità.
Promuovi la passione armoniosa
- Ammetti altre attività almeno una volta alla settimana, durante le pause tra un allenamento e l’altro e durante le vacanze. Se l’atleta non sembra avere altri interessi, incoraggialo a provare qualcosa di nuovo.
- Promuovi l’autonomia durante l’allenamento e al di fuori. Quando è possibile, permetti alle atlete e agli atleti di dire la loro.
- Loda le azioni.
Reagisci ai segnali di una passione ossessiva
(ad es. ostinazione, accanimento, massimizzazione dell’allenamento ecc.)
- Apprezza e riconosci le caratteristiche e le competenze extrasportive.
- Cerca il dialogo con i diretti interessati per capire esattamente quali aspetti l’atleta ama di più dell’attività sportiva.
Favorisci un’identità fondata su più interessi
- «Chi sei?»: interrogati sulla tua personalità e chiedi alle atlete e agli atleti di riflettere su sé stessi. Aiutali a capire chi sono parlando e ponendo domande sul loro ruolo sociale.
- Parla con le atlete e gli atleti in modo molto consapevole di temi che esulano dallo sport (ad es. interessi personali, famiglia, amici, scuola, formazione ecc.).
Fonti e bibliografia
- Albertin, K. (2021). Leidenschaft junger Menschen im Spitzensport: warum sie wichtig und schützenswert ist. Psychologie & Erziehung, 2, 21-24 (pdf).
- Schmid, J., & Seiler, R. (2003). Identität im Hochleistungssport. Diagnostica, 49(4), 176-183.
- Vallerand, R. J. (2015). The psychology of passion. A dualistic model. Oxford University Press, New York.